"Masquerade" è uno dei programmi televisivi più popolari prodotti da NTV Japan.
Persone di ogni estrazione sociale partecipano al "talent show" per presentare le loro performance ovviamente molto originali, realizzate con materiali semplici e molto ingegno.
Oltre a preparare i propri costumi e oggetti di scena, i concorrenti si sforzano fisicamente e creativamente per dare il meglio di sé.
Oggi guardare un film è un'esperienza coinvolgente grazie agli effetti speciali, i dialoghi, le colonne sonore, le immagini a colori e molto altro, soprattutto nelle sale cinematografiche. Ma prima che venissero introdotte le tecnologie del suono e del colore, i registi dovevano fare affidamento su un numero molto minore di strumenti per raccontare le loro storie al pubblico in modo divertente.
Circa un secolo fa, in Giappone, la richiesta di aggiungere una nuova componente all'esperienza cinematografica si fece sempre più pressante. Esisteva un ruolo molto affascinante per coloro che potevano arricchire queste storie e immergere il pubblico nell'universo dei film. Essi compensavano la mancanza di suoni, colori o effetti speciali colorando i film con la loro voce: i katsudou benshi o benshi (弁士, "narratori di film"). Ma la cosa ancora più sorprendente è che esistono ancora oggi.
In questo video Land of the Rising Sound | A Roland Retrospective il canale di Alex Ball ci racconta la storia di Roland, che è da 50 anni leader mondiale nella produzione di strumenti musicali elettronici. Il colosso nasce a Osaka nel 1972 dalle ceneri di un'altra compagnia fondata da Ikutaro Kakehashi, la Ace Electrical. Negli anni '80 produce alcuni dei sintetizzatori professionali più usati nelle band pop più celebri del mondo, come il JUPITER-8, o l'SH-101. Il tutto sempre cercando di innovare continuamente, al massimo, la tecnologia.
Yukio Kitta (橘田幸雄) è un illustratore giapponese che colpisce subito per il suo stile classico, fresco e riconoscibilissimo. Le linee sono sempre in competizione per primeggiare sui tipici colori pastello di un'epoca più spensierata.
Fin dagli anni '80 si è cimentato in ogni tipo di illustrazione, ritratti, luoghi, mecha design, sport e cover di videogame e album musicali.
In tutto il Giappone, una vista rimane onnipresente: il minimarket ovvero il "combini" (classica contrazione sillabica da "convenience store").
Molto lontani dai loro cugini americani, i minimarket in Giappone sono senza eccezione, immacolati, ben forniti, aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 e sono... beh, effettivamente convenienti.
Pure Invention: How Japan Made the Modern World è un libro di Matt Alt, traduttore, scrittore e divulgatore che vive in Giappone. E' la storia di come il Giappone sia diventato una superpotenza culturale grazie alle fantastiche invenzioni che hanno catturato - e trasformato - l'immaginazione del mondo, dal karaoke e il walkman agli anime e alle emoji, per non parlare di Pac-Man e Zelda, ovviamente.
Durante il "miracolo economico" degli anni '70 e '80, il Giappone sembrava esistere in un futuro prossimo, con la tecnologia superiore di Sony e Toyota, mentre l'Occidente lottava per recuperare il ritardo. Poi il catastrofico crollo del mercato azionario del 1990 ha dato il via a quelli che i giapponesi chiamano i "decenni perduti". La fine del boom avrebbe dovuto far precipitare il Giappone nell'irrilevanza. Ma in "Pure Invention", Matt Alt sostiene che è proprio allora che le cose si sono fatte interessanti, quando ancora una volta il Giappone è arrivato al futuro un po' prima di tutti noi.
Dopo la Seconda guerra mondiale, il Giappone si è arricchito vendendo al mondo ciò di cui aveva bisogno, sotto forma di automobili, elettrodomestici e microprocessori migliori. Ma ha conquistato i cuori grazie a una cultura pop selvaggiamente creativa che rispondeva alla vita moderna in modi nuovi. Mentre le reti sociali e di sicurezza evaporavano, si scatenò una rivoluzione di gadget geek, aggeggi e voli di fantasia. Hello Kitty, il Nintendo Entertainment System e gli imperi dell'intrattenimento illustrato come Pokemon e Dragon Ball Z sono stati più che successi di marketing. Hanno trasformato il Giappone nella fucina mondiale delle fantasie e hanno trasformato noi che le consumavamo: il karaoke che rendeva tutti star, le emoji che riscrivevano le regole della comunicazione umana, i mondi di gioco virtuali che offrivano fughe dalla realtà e nuove prospettive su di essa.
Tra saggio ed ennesima fan fiction di noi innumerevoli appassionati del Sol Levante, da non perdere.
Questo è un documentario sul Karakuri Creation Group di Odawara, in Giappone. Un piccolo gruppo di artigiani che crea puzzle originali in legno da oltre 50 anni. Hanno gentilmente concesso permesso di filmare il loro laboratorio e di intervistarli sul processo di creazione dei puzzle.
In Praise of Shadows è un saggio del 1933 di Junichiro Tanizaki, l'autore considerato una delle figure più importanti della letteratura giapponese moderna. Il tono e l'argomento delle sue opere spaziano da rappresentazioni scioccanti della sessualità e delle ossessioni erotiche distruttive a sottili ritratti delle dinamiche della vita familiare nel contesto dei rapidi cambiamenti della società giapponese del XX secolo. Spesso le sue storie sono narrate nel contesto di una ricerca dell'identità culturale in cui vengono contrapposte le costruzioni dell'Occidente e della tradizione giapponese.
Questo saggio è stato citato in "The Longing for Less", il libro sul minimalismo scritto da Kyle Chayka, ed è uno dei suoi saggi preferiti. L'ha scoperto inizialmente in una libreria a Williamsburg, Brooklyn. Il proprietario di quella libreria teneva sempre fuori questo piccolo libro. La copertina è in bianco e nero con una specie di disegno giapponese sul davanti, come un paravento shoji, e il titolo: "Elogio delle ombre". Ha un aspetto così suggestivo e interessante. Lo ha affascinato il fatto che il proprietario della libreria lo tenesse sempre lì, indipendentemente dal fatto che fosse esaurito. Ogni volta che entrava, c'erano altre copie. Così alla fine l'ha preso, per dispetto, solo per vedere cosa ci fosse di così prezioso in questo libro. E ha trovato un bellissimo saggio sull'estetica, la storia e la tecnologia, il cambiamento, i gusti personali e l'identità, tutto racchiuso in un volumetto di quarantacinque pagine.
Ci sono molte principesse sotto al mare nel folklore giapponese. Questa Otohime proviene da uno dei miti più antichi e, di conseguenza, è apparsa in innumerevoli storie nel corso dei secoli. È una principessa che vive in fondo all'oceano e si innamora di un uomo.
Matthew Meyer è un illustratore e folklorista residente in Giappone. Ha conseguito un BFA in illustrazione presso il Ringling College of Art and Design nel 2005. Il suo lavoro si concentra sul folklore giapponese, in particolare sugli studi sugli yokai. È autore di The Night Parade of One Hundred Demons (2012), The Hour of Meeting Evil Spirits (2015), The Book of the Hakutaku (2018) e The Fox's Wedding (2021). È anche il creatore di yokai.com, un database illustrato online di fantasmi e mostri giapponesi.
Hidari è un film d'azione ambientato nel Giappone dell'epoca Edo (1603 - 1867) e interpretato da pupazzi di legno. Parla di Jingorō Hidari, uno scultore e polimatico che potrebbe essere esistito o meno tra il 1500 e il 1600. Il film lo reimmagina come un combattente in una classica storia di samurai. Tre aziende giapponesi hanno collaborato per realizzare il tutto: Whatever Co. e gli studi di stop-motion TECARAT (Gon, la piccola volpe) e Dwarf (Rilakkuma).
Il regista Masashi Kawamura afferma che in tutte le sue attività creative è sempre motivato dal desiderio di creare qualcosa che nessuno ha mai visto prima. Sebbene esistano ancora molte opere attribuite a Jingorō Hidari, come il "gatto che dorme" al Nikkō Tōshō-gū, il personaggio stesso è avvolto nel mistero e la sua esistenza è sconosciuta, cosa che ha trovato molto intrigante (simile al misterioso artista di strada Banksy). Nel rakugo e nel kōdan, le tradizionali forme d'arte narrativa giapponese, Hidari è spesso rappresentato come un intagliatore di legno i cui animali scolpiti prendono vita, il che gli ha ricordato l'animazione in stop-motion, dove la vita viene infusa in oggetti inanimati.